Il rapinatore sfortunato



Dal libro "La trattoria" di Michele Scaperrotta



Fare il rapinatore è un mestiere difficile, non solo perché rischi la galera, quello lo metti in conto.
Ma ti possano capitare imprevisti strani, incalcolabili.
Giacomino era uno del rione. Veniva da una famiglia nota a tutti per furti e rapine.
Il padre spesso in galera e la madre per tirare avanti, quando lui era in galera si diceva che si prostituisse, insomma un quadretto poco raccomandabile, dove Giacomino era cresciuto.
Per lui era la normalità.
Era il più piccolo di tre fratelli: un tipo tranquillo che avrebbe fatto sicuramente meglio il salumiere che andar per furti nei negozi, ma l’unica cosa che gli avevano insegnato da quando era al mondo, era truffare e derubare il prossimo, era il suo mondo!
Lui nel quartiere non operava, era una persona d’onore, rispettata, anzi il quartiere era sotto la sua protezione.
Se avveniva un furto e volevi conoscere chi era l’autore, da lui dovevi andare, lui sistemava le ‘cose’.
Nel suo ambiente era rispettato ed era conosciuto.
Ma si sa, anche i migliori a volte inciampano nelle cose più strane e buffe della vita.
In un paese vicino c’era un piccolo ufficio postale e a fine mese era risaputo che le casse erano piene di soldi.
A quei tempi il conto corrente, tessere magnetiche non erano ancora così diffuse.
Quale migliore periodo per far rifornimento, pensava evidentemente Giacomino.
Sicuramente aveva già sperimentato ste cose in negozi e uffici lì in zona.
Quel mattino verso le 11, si presenta nell’ufficio, pochi vecchi in coda a ritirar la pensione e altri a pagare le solite bollette.
“Fermi tutti!” questa è una rapina.
Coltello alla mano, calzamaglia in testa.
Si diresse verso i due impiegati, intimando loro di mettere sul banco tutto il ‘liquido’ disponibile.
Questi, spaventatissimi, eseguirono e Giacomino con fulminea velocità e pratica, mise tutto il denaro in una busta di plastica e fuori dall’ufficio, di corsa, salta sulla motoretta.
Ma qui il guaio, questa non si metteva in moto, prova e riprova, non partiva.
Nel frattempo gli impiegati della Posta e i vecchi presenti urlavano a più non posso: aiuto, una rapina, chiamate i carabinieri, insomma il finimondo, tutti correvano a destra a sinistra.
Giacomino ormai aveva capito che la motocicletta lo aveva tradito.
“Merda!” urlava, quando prendo Giorgio il meccanico, me lo inculo quello, che cazzo di meccanico è?
Intanto, convinto di poter scappare a piedi, si mette a correre.
Lì era arrivata nel frattempo un casino di gente ed il solito rompi festa inizia a urlare : “E’ lui quel delinquente”
E’ la fine per Giacomino, in un attimo tutti attorno a lui e botte a volontà.
Giacomino che non amava di certo i carabinieri, quando li vide diede un sospiro di libertà, sì, lo avevano estratto da quella ira umana da cui non sarebbe altrimenti uscito
vivo!
E così, quasi contento, se ne tornava in galera.
“Tutta colpa di quel maledetto motorino, continuava ad esclamare.
Ma quando esco dalla galera Giorgio me lo inculo, quel meccanico del cazzo.”
Non si sa se fuori dalla galera Giacomino effettivamente andò da Giorgio per incularselo.
Ma una cosa era sicura: lui le rapine non le fece più con la moto.

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